Risposte alle critiche di un docente di assiriologia a Sitchin
Nei giorni tra il 30 Luglio e il 4 agosto 2011 sono stato presente al forum Eclisseforum per ribattere a una intervista sottoposta dal loro staff ad un docente di assiriologia dell' Università “La Sapienza” di Roma.
Il docente si é dilungato nella critica a Sitchin, e ho ritenuto opportuno rispondere a dovere per correggere i suoi errori e demolire le sue critiche. Ne uscì un documento di circa 40 pagine contenente un botta e risposta che si dipanò lungo quasi 5 giorni, in questo post voglio riportare - senza fare il nome per non fare pubblicità gratuita - la mia prima risposta ai primi 6 punti della sua intervista. Non risposi ai successivi perchè non ritenni di dover scendere nello specifico viste le imprecisioni del docente già in quelle prime domande.
Riporto nell' ordine:
- domanda dello staff (in grassetto color rosso)
- risposta del docente (in corsivo color bianco)
- mia risposta (in corsivo color verde indentato)
DOMANDA N°1:
Professore, sappiamo che ci sono difficoltà nel tradurre le scritture di civiltà scomparse, distanti nel tempo e nello spazio dalla nostra. Come si opera nel campo per comprendere ciò che è scritto in un’altra lingua e attraverso quali strumenti potete poi assegnare, in maniera oggettiva ed univoca, ad un simbolo/parola il giusto significato? Attraverso quale processo si svolge la “certificazione” di una traduzione affinché risulti attendibile?
La riscoperta di antiche culture e la decifrazione delle stesse procede per quelle che, partendo dal
celebre caso del geroglifico egiziano, si chiamano “stele di Rosetta”, ovvero documenti il cui testo, invariato nei suoi tratti principali, è reso in due lingue o scritture differenti. Conoscendo una delle due lingue si può procedere alla decifrazione dell’altra. Si tratta, in parole povere, di una chiave di decrittazione e in tal senso operarono i primi decifratori del cuneiforme che, non conoscendo né la scrittura, né la lingua espressa, procedettero praticamente faticosamente alla cieca. Nel 1857 si svolse a Londra il famoso esperimento che ratificò ufficialmente la decifrazione del cuneiforme: la Royal Asiatic Society fornì in busta chiusa un testo cuneiforme a quattro esperti (Hincks, Rawlinson, Oppert, Fox Talbot), le cui traduzioni indipendenti, ma corrispondenti nei tratti principali, dimostrarono che le conoscenze sino allora raggiunte e i metodi e strumenti creati permettevano una decifrazione corretta. Quindi una interpretazione non “soggettiva” e personale, ma “oggettivamente” provata a prescindere dal singolo studioso.
Ai giorni nostri ogni “certificazione” di una traduzione o di una lettura di un segno, etc. procede allo stesso modo, ovvero mediante il confronto, la critica e il riconoscimento della comunità scientifica. Il processo di comprensione del sumerico e dell’accadico, tuttavia, ha proceduto lentamente. Non è stata un’impresa che un solo uomo o una sola generazione ha portato a compimento. Essa è il frutto della somma degli studi precedenti, compresi gli errori e i vicoli ciechi. A questo si aggiunga la casualità dei ritrovamenti archeologici e la difficile situazione politica del Vicino Oriente nell’ultimo mezzo secolo.
Non é vero, sia nel passato che attualmente assiriologi diversi traducono diversamente lo stesso passaggio e addirittura la stessa parola. Questo succede sia con l' accadico che col sumero. Un caso lampante é il nome del dio Ningishzidda (Jacobsen: 'signore del buon albero' -Bell: 'signore che fa crescere gli alberi in maniera corretta' -Heise: 'signore del fedele attrezzo'). Un altro caso sono le diverse traduzioni per esempio della Dalley e di King di molti passi dell' Enuma Elish. Riporto qui due stralci di traduzioni di assiriologi diversi dello stesso passaggio del mito di Adapa:
Heidel :
“Why has Enki revealed to an impure man The heart of heaven and earth?”
Dalley:
“Why did Enki disclose to wretched mankind The ways of heaven and earth,”
come potete vedere Heidel parla di 'uomo impuro' mentre Dalley traduce con 'umanità'. Il termine accadico esatto é 'amiluta' che deriva da awilutu = umanità, nel complesso.
Inoltre Heidel parla di 'il cuore del cielo e della terra' mentre Dalley parla di 'le vie di cielo e terra' mentre il testo originale é:
'la banita sa shame u erseti'
che significa "ciò che é male (la banita = non buono) in cielo (sa shame) e terra (u erseti)"
DOMANDA N° 2:
Come definirebbe il grado di civiltà e il livello tecnologico delle popolazioni mesopotamiche (Sumeri, Assiri, Babilonesi)?
È difficile rispondere a questa domanda che comporta spesso una certa relazione tra civilizzazione = progresso = tecnologia. È importante puntualizzare, per i meno esperti, che la Mesopotamia è una piana alluvionale praticamente priva di qualsiasi materia prima, se si eccettua l’argilla e la canna (e il petrolio per i tempi moderni) e con queste gli abitanti dell’alluvio mesopotamico hanno creato praticamente tutto: dagli strumenti per scrivere (tavoletta d’argilla e calamo fatto di canna) alle grandi costruzioni, come li Ziqqurat in mattoni d’argilla. Contrariamente all’Egitto la cui abbondanza di pietra, in particolare granito, ha permesso di creare monumenti imperituri che si considerano ancora oggi tra le più grandi meraviglie del passato, poco rimane delle antiche costruzioni mesopotamiche. Anche il legname era una materia prima preziosa, raramente usata in costruzioni, figurarsi se lo si poteva utilizzare come combustibile per cuocere i mattoni. Questi dunque, come avviene ancora ai giorni nostri, erano seccati al sole. La forza delle civiltà sta sicuramente nella cooperazione/cooptazione delle grandi masse per grandi opere idrauliche (canali, dighe, etc.). Infatti il suolo della bassa Mesopotamia, paludoso, se lavorato è molto fertile, ma c’è bisogno appunto della collaborazione di tutti. È da questa necessità di controllo delle masse che sono nate le città e gli stati, la burocrazia e la scrittura, il controllo politico e teologico.
L’assenza di materie prime spinse gli abitanti della Mesopotamia sempre alla ricerca di soluzioni sostitutive, sviluppando quindi una tecnologia basata principalmente sulle poche risorse disponibili. Un esempio, solo per rendere l’idea dell’inventiva e delle risorse mesopotamiche: l’apprezzatissimo e raro lapislazuli, originario di una regione dell’Afghanistan, fu in parte sostituito da una “pietra” artificiale, costituita da sabbia e argilla.
Sitchin non ha mai dichiarato di essere l' unico capace di tradurre il cuneiforme. Forse il professore si riferisce alla frase di presentazione della 4a di copertina del libro 'Il pianeta degli dei' che riporta "[...] uno dei pochi studiosi al mondo capaci di leggere la scrittura cuneiforme". Ma questa é una frase della casa editrice, non di Sitchin.
DOMANDA N° 3:
Quali erano le conoscenze in campo astronomico dei Sumeri delle altre civiltà mesopotamiche di quel periodo? Conoscevano i pianeti? Avevano maturato una cosmogonia?
Le conoscenze astronomiche mesopotamiche sono strettamente legate alla ragioneria e al computo. La dea sumera Nisaba, letta anche Nidaba, è la dea dei cereali e patrona del computo, strettamente legato all’immagazzinamento, e, indirettamente delle conoscenze astronomiche. Di lei si dice che misura il cielo e la terra, e “conta i giorni”. La relazione di Nisaba con le stelle è evidente dal nome del suo tempio, “casa/tempio delle stelle” (e-mulmul) e da uno dei suoi principali attributi, la tavoletta di lapislazzuli definita “tavoletta delle stelle del cielo (puro)” (dub-mul-an(-ku)). Nonostante i vari riferimenti agli astri e altri elementi che suggeriscono una conoscenza profonda delle cose celesti da parte dei Sumeri del III mill., poco sappiamo delle loro conoscenze astrologiche e astronomiche. Di fatto nei successivi periodi si continueranno ad usare i nomi sumeri dei corpi celesti. All’inizio del II mill. A.C. assistiamo ad una diffusione della letteratura in lingua accadica e ad un ampiamento dei generi letterari documentati, compresi i testi relativi ai movimenti celesti. Risale al XVIII sec. A.C. l’osservazione del ciclo di Venere registrata su di una tavoletta del periodo del re Ammi-.aduqa, uno dei successori di Hammurabi di Babilonia. Si tratta di un importante documento che permette di ancorare alla datazione astronomica la cronologia storica dell’antico Oriente. Nei secoli successivi compariranno importanti composizioni “astronomiche”, come il MUL.APIN, che registrano conoscenze dei moti celesti maturate nei secoli precedenti. Per evitare lunghe e pedanti discussioni, possiamo dire che i testi del periodo “classico” (metà del II mill.) documentano una conoscenza approfondita dei pianeti e del loro ciclo oltre alle costellazioni, i confini delle quali e anche alcuni loro nomi coincidono con quelle greche. Molte di queste conoscenze, quali lo zodiaco e il calcolo sessagesimale (per es. la misurazione del tempo) e dell’arco, sono giunte immutate sino ai nostri giorni.
Tali conoscenze sono il frutto di un’osservazione costante: ogni giorno gli scribi mesopotamici osservavano e registravano i movimenti astrali; tali registrazioni erano conservate anche per secoli e lo studio dei loro dati aveva permesso di scoprire i movimenti dei pianeti e altri fenomeni, quali il ciclo del Saros.
Anche la matematica era molto sviluppata: in una civiltà fondata sull’estrema burocratizzazione e controllo di entrate ed uscite, si svilupparono presto calcoli complessi, come quello forfettario, e la geometria per la progettazione per esempio di opere idrauliche.
Risalgono all’inizio del II mill. una serie di tavolette con la rappresentazione di alcuni teoremi, tra cui quello di Pitagora! Per quanto riguarda la cosmogonia, se intendiamo questo termine in senso moderno, la risposta è sicuramente negativa. Sumeri e Accadi avevano diverse idee della creazione del mondo, conservateci nei testi letterari e mitologici, tra cui anche la volta celeste e il ciclo dei pianeti. Nel noto passo della Tavola V dell’Enuma eliš, il poema della creazione babilonese, il dio Marduk «Fece apparire le stazioni dei grandi dèi e stabilì le “immagini” delle stelle, le costellazioni, definì l’anno, del quale tracciò il quadro e stabilì tre stelle per ogni mese.
Quando ebbe tracciato il “disegno” dell’anno, fissò la stazione di Nebiru, per far conoscere le loro (delle stelle) relazioni e in modo che nessuna di esse sbagliasse il suo percorso, stabilì i sentieri di Enlil ed Ea».
No, Neberu é un termine che ha ANCHE il significato di 'traghetto', ma ha il significato dell' azione di attraversare, e per estensione indica qualsiasi cosa compia una traversata di qualunque genere. Infatti Nibiru nell' Enuma Elish é il nome che Marduk assume quando attraversa l' universo.
DOMANDA N° 4:
Veniamo a Zecharia Sitchin. Come vengono considerate le sue traduzioni e le sue interpretazioni dei testi cuneiformi dal mondo accademico? La sua opinione personale?
Nel mondo accademico non vi è alcuna considerazione dei lavori di Sitchin ed il suo nome, quale autore di opere pseudo-scientifiche, è pressoché sconosciuto. A prescindere dalla generale chiusura degli ambienti accademici, non esistono lavori di Sitchin che possano ritenersi scientifici, per varie ragioni. Sitchin, come altri autori del genere, costruisce le sue teorie sulla traduzione di passi e non sull’interpretazione del testo originale, nonostante proclami di essere l’unico a conoscere il cuneiforme. A tal uopo, per sfatare dubbi e miti, l’Assiriologia, ovvero la disciplina che studia le culture che si sono espresse tramite la scrittura cuneiforme come quella sumerica e accadica, esiste da oltre un secolo ed è insegnata in molte università del mondo. Sebbene meno nota e appariscente della sorella Egittologia, è in continuo sviluppo e annualmente molti studenti frequentano i corsi di lingua e letteratura sumerica e accadica.
No, niente lega Nibiru a Giove se non gli assiriologi nelle loro traduzioni, senza peraltro giustificare questa attribuzione. Nessun testo accadico o sumero afferma che Nibiru é Giove. Fu una nozione 'decisa' e accettata dalla comunità, credo proveniente da L.W. King. Su cosa sia Nibiru ci son stati vari studi, e nessuno é conclusivo.
Il passo dell' Enuma Elish (che non vedo riportato) non implica una stella fissa... anzi, nell' elenco dei nomi di Marduk si dice chiaramente che Nibiru é 'colui che un tempo attraversò (neberu) il firmamento é ora il polo del' universo'. Dunque non una stella fissa ma qualcosa che si muove.
DOMANDA N° 5:
Sitchin afferma che i Sumeri ebbero contatti con razze extraterrestri, che la stessa razza umana sia una creazione extraterrestre. Aggiunge che le conoscenze astronomiche dell’epoca fossero tali da arrivare a definire un sistema solare così come oggi lo conosciamo e tali da permettere il calcolo di orbite e masse planetarie. Inoltre, secondo Sitchin, nel 2000 a.c. sarebbe scoppiata una guerra nucleare tra “extraterrestri” e la ricaduta nucleare sarebbe “il vento malvagio”che distrusse Ur. Egli avrebbe desunto tutto questo dalla traduzioni di cilindri, sigilli e tavolette mesopotamiche. Esiste qualche riscontro oggettivo di queste affermazioni?
Intanto dovremmo chiaramente distinguere le fasi di quelle che sono state le civiltà mesopotamiche che si sono sviluppate in circa tre millenni. Non possiamo appiattire l’evoluzione delle conoscenze maturate in secoli di osservazioni e farne un unico mucchio da cui attingere singoli dati fuori contesto. Dunque, come già accennato, abbiamo pochissimi dati circa le conoscenze dei Sumeri nel III mill. e solo pochi indizi, per cui affermare che le loro conoscenze astronomiche fossero evolute è un’illazione. Inoltre, molte culture anche non complesse (quelle che si chiamerebbe “preistoriche”) hanno conoscenze astronomiche estremamente sviluppate, derivate dall’osservazione, senza che si debba attribuire a fattori esterni, tali conoscenze.
Per quanto riguarda la guerra nucleare e il vento malvagio che avrebbe distrutto Ur, alla fine di questo periodo il grande regno con capitale proprio ad Ur cadde. La letteratura posteriore attribuì alla decisione del consiglio divino la fine della dinastia, fine che ebbe luogo su un piano mitico tramite una tempesta distruttrice, sul piano umano tramite l’invasione di genti dalle montagne orientali. La tempesta distruttrice, spesso accompagnata da piena e diluvio, è l’arma prediletta delle divinità: Enlil la scatenò contro l’umanità con lo scopo di sterminarla nel celebre mito del diluvio. Entrambe le idee, quella della tempesta e della piena, sono strettamente legate alla realtà geofisica della Mesopotamia: le nubi cariche di pioggia, sin dall’antichità rappresentate come un gigantesco uccello dalla testa leonina, producevano improvvise piene incontrollabili causate dall’assenza di rocce. Gli stessi letti dl Tigri e dell’Eufrate sono fangosi e il loro corso, in particolare quello del Tigri, può mutare annualmente e investire le città o allontanarsi da esse determinandone la distruzione. Quindi si tratta di un motivo antico e costante nell’immaginario della regione. Non ci sono tracce di guerre per questo periodo.
L’archeologia inoltre non ha fornito alcuna traccia di distruzioni diffuse e in particolare proprio ad Ur c’è una continuità abitativa che indica un periodo di passaggio non traumatico.
No di nuovo. Il professore dimentica Inanna che si accoppia con Sargon, e vari altri casi, per esempio Gudea figlio di Nina e vari altri re e sacerdoti che si dichiarano figli di divinità. Altri esempi sono Enmerkar e anche Lugalbanda.
DOMANDA N° 6:
Esiste un testo cuneiforme che parla di un pianeta chiamato Nibiru e che ne descrive caratteristiche fisiche ed orbitali?
Neberu in accadico significa “traghetto”. È un termine utilizzato per indicare anche alcuni corpi celesti in molti testi sia letterari che astronomico/astrologici. Va precisato infatti che a fianco di alcuni nomi associati in modo univoco ad un pianeta o stella, è sviluppato in Mesopotamia un sistema legato all’interpretazione teologica ed esoterica per cui alcuni astri possono avere più di un nome, associato ad un dio (Marte) o ad una caratteristica (rosso); in alcuni casi, inoltre, tali nomi sono volutamente ambigui e utilizzati per diversi corpi celesti. Nel caso di Neberu lo si definisce in vari passi come uno dei nomi del pianeta Giove; il passo sopra citato dall’Enuma eliš sembrerebbe indicare invece una stella fissa, forse la polare. Non vi sono invece descrizioni chiare delle caratteristiche fisiche (ma neanche per altri corpi) o orbitali di Neberu.
La identificazione delle Pleiadi con i 7 pallini é un altra asserzione degli assiriologi, non c' é niente che attesti, nella mitologia mesopotamica, l' identificazione delle pleiadi con i 7 pallini. Tanti articoli e studi di assiriologi fanno questa associazione ma é del tutto personale, semplicemente condivisa. Inoltre nel caso del sole (come simbolo del dio Shamash) abbiamo almeno 5 tipi di rappresentazione diverse.
Tutto il botta e risposta é disponibile online QUI.