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Il secondo volume dell' opera, interamente dedicata alla teoria dell' autore azero Zecharia Sitchin, affronta una serie di critiche mosse dal ricercatore Ian Lawton nel suo lavoro "The mesopotamian Papers". Il libro analizza critiche linguistiche, mitologiche, scientifiche, con uno sguardo rivolto particolarmente ad evidenziare come spesso le critiche alla teoria nascano da personali motivazioni, mancanza di aggiornamento scientifico, e da una analisi superficiale.

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Estratto dal libro:

Nella prima versione del suo sito (www.ianlawton.com) e nei suoi libri Lawton trattava moltissimi dei punti trattati da Sitchin, portava gli stessi esempi, analizzava gli stessi materiali, ma raggiungeva conclusioni diverse. Mentre Sitchin parla di una razza extraterrestre, Lawton propone che questi esseri di cui si parla nei testi che lui stesso analizza (gli stessi trattati da Sitchin) siano in realtà entità spirituali incarnate, venute da un altro livello di coscienza e ‘racchiusi’ nei corpi umani.

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Già da questo è evidente il fatto che, essendo comunque uno spiritualista, Lawton non possa accettare le conclusioni di Sitchin per principio.

Estratti da vari capitoli del libro

 

LE MOTIVAZIONI DI IAN LAWTON

Per comprendere bene il motivo dell’ attacco da parte di Ian Lawton nei confronti di Sitchin bisogna per prima cosa conoscerne il personaggio.

Lawton è un ricercatore e scrittore di storia antica e filosofia spirituale, fondatore del gruppo Rational Spirituality. Dopo essersi laureato in Economia è stato consulente di Information Technology in varie organizzazioni. Improvvisamente dopo i trent’ anni ha abbandonato questa carriera per iniziare a scrivere e fondare poi il suo gruppo di ricerca spirituale.

C’ è da dire che Lawton propone uno stile di vita e un genere di spiritualità assolutamente innovative e con una forte base razionalista, cosa assai rara e meritevolissima. Non lo si può certo accusare di essere un ‘ortodosso’ in qualsiasi cosa faccia. Come capita per Sitchin, anche lui per determinate cose è criticato, specialmente il suo tentativo di unire razionalismo e spiritualità. Non essendo però un personaggio così ‘in vista’ quanto Sitchin, nessuno mai si è messo a spulciare il suo lavoro e a criticarlo. Non dubitiamo però che egli stesso abbia trovato nel suo cammino non poche persone che gli abbiano dato del ‘visionario’ o del ‘mistificatore’. Succede sempre a chiunque propone qualcosa di nuovo e inusuale, indipendentemente dal fatto che abbia ragione o torto nelle sue teorie.

A Lawton quindi va tutta la mia stima come ricercatore e come innovatore, nonché come pensatore spirituale. I suoi lavori son stati per me molto utili in quanto mi hanno aiutato nel cammino del razionalismo già iniziato anni fa grazie a LaVey.

Ciò però non toglie che questo personaggio pecchi di presunzione e di troppa fiducia nell’ ortodossia nell’ accusare Sitchin, e nella sua analisi di alcuni punti salienti della teoria dell’ orientalista russo.

Perché? Il motivo è chiaro fin dal suo primo articolo in merito.

Nella prima versione del suo sito (www.ianlawton.com) e nei suoi libri Lawton trattava moltissimi dei punti trattati da Sitchin, portava gli stessi esempi, analizzava gli stessi materiali, ma raggiungeva conclusioni diverse. Mentre Sitchin parla di una razza extraterrestre, Lawton propone che questi esseri di cui si parla nei testi che lui stesso analizza (gli stessi trattati da Sitchin) siano in realtà entità spirituali incarnate, venute da un altro livello di coscienza e ‘racchiusi’ nei corpi umani.

Già da questo è evidente il fatto che, essendo comunque uno spiritualista, Lawton non possa accettare le conclusioni di Sitchin per principio. Ma l’ evidenza più palese è contenuta proprio nell' articolo di presentazione al suo lavoro di critica, intitolato “Sitchin’s scholastic approach”

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I PUNTI DA DISCUTERE

Analizziamo qui i singoli articoli contenuti nel sito di Lawton che riguardano ognuno un particolare aspetto del lavoro di Sitchin. Per fedeltà e correttezza nei confronti di Lawton ho scelto di riportare le sue frasi esatte, aggiungendo poi una traduzione dall' inglese, perché non mi si possa accusare di aver tradotto e interpretato male i punti da lui esposti.

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Introduction to Sitchin’s theories

E’ un documento di introduzione che commenta la teoria di Sitchin di per se e inizia a esporre lievi critiche sui metodi. Una frase in particolare colpisce subito chi ha un minimo di cognizione su come avviene la ricerca storica e linguistica.

Lawton riporta da un libro di Sitchin un racconto dell’ autore in cui parla di come ha iniziato a farsi domande e di come è nato il suo interesse verso la ricerca storica. L’ episodio, che riguarda la gioventù scolastica di Sitchin, racconta che studiando la bibbia in classe egli domandò come mai la parola Nefilim veniva tradotta come ‘Giganti’ e non come ‘Coloro che sono scesi’ visto che il termine ebraico Nafal significa appunto ‘scendere’.

Dopo aver riportato l’ episodio come raccontato dallo stesso Sitchin, Lawton scrive:

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Questa esperienza provò di essere il prototipo per uno dei punti fermi del lavoro di Sitchin: la re-interpretazione di un numero di parole chiave che appaiono in testi antichi in varie lingue. E' questo approccio, combinato con la ri-valutazione di materiale archeologico e scientifico per supportare le sue teorie, che lo ha condotto a tale serie di conclusioni.

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In sostanza Lawton sostiene che il metodo che permette a Sitchin di raggiungere certe conclusioni è: ‘la reinterpretazione di alcune parole-chiave in testi di varie lingue’ unito alla ‘reinterpretazione di evidenze scientifiche e archeologiche’ in modo che queste supportino le sue teorie. Lawton dipinge tutto questo comportamento e questa procedura come se fosse una cosa negativa. In realtà non lo è affatto. Quando si studia una lingua morta o che non si conosce, la procedura è proprio quella di riconoscere alcune parole chiave, assegnarli un significato o una serie di significati (nei modi più vari: da quello figurativo nel caso delle lingue pittografiche, a quello comparativo nel caso si trovi un testo bilingue come nel caso della stele di Rosetta) che permettano di ottenere una frase di senso compiuto. Man mano che si identificano più parole-chiave, si delinea l’ intero significato, che poi viene interpretato.

[...]

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Sitchin’s scholastic approach

Il secondo documento di Lawton è dedicato a criticare l’ approccio con cui Sitchin si avvicina ai testi. In questo documento gli viene rimproverato di citare testi senza fornire le fonti, estrapolare frasi dai contesti, e rielaborare le traduzioni ‘ufficiali’ dei miti che esamina. La frase significativa in cui Lawton riassume questo concetto è la seguente:

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Questo è particolarmente vero nelle sue citazioni dalla letteratura Mesopotamica, che sono generalmente le sue interpretazioni e non prese direttamente dai lavori di altri studiosi. Perciò anche il solo rintracciare lo stesso passaggio nelle traduzioni ortodosse può essere esasperante; e se e quando le trovate, esse hanno poca somiglianza.”

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Ma il punto è proprio questo: ci sono tanti studiosi che hanno trattato gli stessi testi, e in tutte le versioni ci sono differenze, più o meno sostanziali. Essendo però tutte versioni ortodosse, son tutte tradotte con gli stessi dizionari, quindi le traduzioni si somigliano tutte. Il concetto che Lawton non sembra capire è che Sitchin critica questi dizionari e il metodo interpretativo ortodosso. Come potrebbe quindi utilizzare una traduzione ortodossa in ogni singolo caso? Ciononostante, son tantissimi i casi in cui Sitchin, per discutere la attendibilità delle tesi ortodosse, cita i testi di altri autori così come sono scritti nell’ originale, e vedremo che questo sarà ammesso dallo stesso Lawton.

Successivamente nel testo si dice che, nonostante anche studiosi ortodossi come Thorkild Jacobsen ammettano che la conoscenza del sumero non è tale da poter stabilire precise e univoche traduzioni, nel caso di Sitchin questa scusante non può essere ammessa perché gran parte del suo materiale viene da testi accadici e non sumeri. Secondo Lawton l’ accadico è molto meglio conosciuto del sumero e perciò la libertà di interpretazione dei termini viene a mancare. Ciò non è esattamente vero. L’ accadico non è molto meglio conosciuto, è solo molto più documentato rispetto alla lingua base usata per tradurre le precedenti: l’ assiro. Ma documentazione e conoscenza di una lingua non sempre vanno di pari passo, infatti pur se di accadico abbiamo numerosi specialisti (molti più che di sumero), tra di loro questi specialisti sono spesso in disaccordo.

[...]

La terza obiezione che Lawton fa a Sitchin è da evidenziare per un ben preciso motivo: Lawton gioca molto sulle credenziali di Sitchin, sul non poter provare la sua preparazione, dice che non cita fonti, etc. Però a un certo punto scrive:

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Terzo, almeno un linguista professionista che si é preso in carico di esaminare il lavoro di Sitchin ha rivolto una massiccia critica alla sua comprensione dell' accadico e del sumero

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Insomma Lawton avrebbe trovato un serio linguista che ha esaminato il materiale di Sitchin e ha dato il suo parere negativo sulla competenza linguistica dell’ autore in materia di sumero e accadico. Fin qui niente di eccezionale. Ci aspetteremmo a questo punto di sapere chi è questo professore, in modo che chiunque possa controllare quali credenziali ha per dare un giudizio simile. Invece no. Il testo di Lawton continua con:

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(Mi rifiuto di fare il suo nome perchè nel corso di una breve corrispondenza con lui, ha chiarito abbondantemente la sua idea sul lavoro di Sitchin, affermando di non voler essere associato a ciò che definiva 'spazzatura', e non voleva essere ulteriormente disturbato da persone che reputava 'strane'.

Io rispetto in pieno il suo desiderio, e ho solo fornito le suddette informazioni su di lui per non essere accusato di aver nascosto questa importante testimonianza)

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In sostanza Lawton vuole che noi ci fidiamo del fatto che lui ha conosciuto un professore esperto, del quale non ci dice niente, il quale dichiara che la competenza linguistica di Sitchin è ‘rubbish’ (mondezza) ma che non vuole essere nominato per non essere accostato a Sitchin. A parte il problema della onestà intellettuale, cioè che chiunque faccia una critica su un autore dovrebbe avere il coraggio di permettere una risposta, rimane il problema riguardante quanto credere a Lawton a riguardo di questo fantomatico professore. Uno degli esempi che Lawton cita tra le varie critiche mosse da questo professore è la traduzione che Sitchin fa del nome Marduk. Secondo questo professore la traduzione ‘figlio del puro tumulo’ che Sitchin fa venire da Maru.du.ku è errata perché Maru sarebbe un termine accadico (‘figlio’), ma Du e Ku sarebbero sumeri (‘tumulo’ e ‘puro’), e sarebbe quindi impensabile che un nome sumero contenesse parole accadiche. Questo a prima vista potrebbe essere un argomento valido, ma si devono fare due considerazioni importantissime: 1) il termine Maru esiste anche in sumero. 'Amaru' o 'Amar' (ricordiamo che le vocali nei logogrammi sumeri non esistono ma sono attribuite arbitrariamente a seconda delle successive evoluzioni della radice) in sumero viene tradotto comunemente come 'vitello' ma in realtà significa sia ‘Signore’, che ‘giovane’ che potremmo estendere a ‘figlio’. D’ altronde se è vero che l’ origine del nome Marduk tra i sumerologi non trova accordo, è bene evidenziare che le due traduzioni più accreditate lo fanno provenire da ‘Amar.Utu(k)’ (giovane toro del sole) e da Meri.Dug. Meri è una delle prime forme della radice che successivamente si è evoluta all’ ebraico talmudico ‘Mara’ che ha il significato di ‘puro’. Dug è un termine che generalmente viene usato come verbo e significa sia ‘dire’ che ‘fare – costruire – esercitare’; inoltre il termine Du (Dug in realtà) ha anche un altro significato, stavolta accettato dagli ortodossi: ‘costruito – fatto – edificato’ e indica un qualcosa costruito nel terreno. Il nome della città Eridu per esempio significa ‘casa edificata lontano’. Per estensione, ricordandoci che il sumero inizia come linguaggio pittografico, quel ‘costruito – edificato’ può anche indicare, come sostantivo, una costruzione nel terreno, quindi anche un tumulo. Se questa interpretazione può sembrare forzata o troppo spinta si deve notare che è lo stesso metodo praticato da studiosi ortodossi. A questo punto niente può escludere che il termine Maru, che Sitchin fa derivare dall’ accadico ‘figlio’ potesse avere un corrispondente sumero con lo stesso significato. 2) la risposta migliore da dare a Lawton e al suo fantomatico professore é che il nome Marduk compare in epoca accadica, e non in epoca sumera. In epoca accadica, sumero e accadico erano utilizzati parallelamente e insieme nei testi, niente vieta quindi che Marduk sia proprio un nome composto di lemmi delle due lingue. Ciò non è un caso isolato, infatti i sumerologi accademici traducono in epoca accadica il termine DIMMER come 'divino – signore - creatore' traducendo il nome Lugal.dimmer.an.ki.a in 'Re divino creatore di cielo e terra' ove Lugal é sumero, Dimmer sarebbe accadico, An e Ki di nuovo sumeri, una simile traduzione accademica sbugiarda sia Lawton che il suo professore.

In realtà questa traduzione del nome é completamente errata, e Lugaldimmerankia va letto per i significati dei suoi glifi in Lugal.dim.mer.an.ki.a(esattamente: LU2+GAL+DIM+MER4+AN+KI+A) significando 'Signore della grande tempesta che scuote cielo e terra'. Ma se gli studiosi accettano il mix accadico – sumero in epoca accadica per Lugaldimmerankia, lo studioso di Lawton non può liquidare come falsa la traduzione di Marduk per i suoi valori fonetici sumeri e accadici, specialmente alla luce del fatto che il nome Marduk compare proprio in epoca accadica.

[...]

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What’s in a Shem?

Il terzo documento di Lawton é un trattato sulla traduzione che Sitchin fa della parola ‘Shem’. Come vedremo negli altri volumi anche altri autori si concentrano su questo termine che costituisce per loro la ‘chicca’ alla quale attaccarsi per confutare Sitchin. Ebbene é proprio su questo termine che evidenzieremo la infondatezza o quantomeno la ambiguità delle critiche linguistiche mosse a Sitchin.

Val la pena prima di tutto chiarire quale è il concetto che Sitchin esprime a riguardo della parola Shem. Leggiamo dal suo primo libro ‘The 12th Planet (il pianeta degli dei)’:

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I testi mesopotamici che si riferiscono ai circondari interni dei templi, o ai viaggi celesti degli dei, o anche a eventi in cui mortali ascendono al cielo, utilizzano il termine sumero MU o il suo derivato semitico Shu.Mu (“Ciò che é un Mu”), Sham, o Shem. Siccome il termine designava anche “Ciò per cui si é ricordati”, il termine ha assunto il significato di 'Nome'.

Ma l' applicazione universale di 'Nome' ai primi testi che parlavano di un oggetto usato nel volo ha oscurato il vero significato delle testimonianze antiche.

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Inoltre Sitchin afferma che il termine ‘MU’ (e anche Shem) veniva usato per descrivere delle pietre commemorative che mostravano divinità dentro strutture coniche simili a navicelle (riporta anche un esempio fotografico di una di queste pietre) e che siccome queste navicelle erano ciò per cui gli dei erano ricordati, e queste pietre in luoghi lontani dai templi erano delle sorte di ‘simulacri’ per l’ adorazione del dio, il termine che le descriveva ha assunto un significato che rimanda al nome o alla fama del dio in questione. L’ obiezione che Lawton muove a Sitchin è che il termine MU da cui Sitchin fa derivare Shem (tramite Shu-Mu) viene indicato dagli studiosi come un suffisso verbale che non richiede traduzione.

La sua frase esatta é la seguente:

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Gli studiosi hanno indicato the questa analisi (di Sitchin) é fortemente sviante perchè il temine MU é un prefisso verbale sumero che non richiede traduzione.

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In realtà non è esattamente così. La parola MU ha una lunghissima serie di significati come riportato in tanti testi quali per esempio Sumerian Lexicon (1996-1999 John Alan Halloran). MU viene usato spesso come prefisso (al quale si danno però due precisi significati: la formazione di un passato – non giustificato - e la 'personalizzazione' di un verbo) mentre considerandolo un termine a se stante i significati più comuni sono ‘nome’ , ‘anno’, ‘vestito’.

Ecco una serie di esempi in cui Halloran traduce la particella MU:

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mu-X: year X (indicates a date according to a notable event that occurred during the year).

Mu-…-a(k)-šè: because (in a nominalized sentence); for somebody’s sake (‘name’ + genitive + terminative).

Mu-dili-dili: individual entries (in a lexical series) (‘entry, line on a tablet’ + reduplicated ‘single’).

Mu-dur7[BU](-ra): dirt; dirty (rags).

Mu-gub: assigned lines (‘word, sentence’ + ‘to set down’).

Mu-mu: always being reborn (such as the moon) (reduplicated ‘to ignite; to sprout, appear’).

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Qui di seguito invece un estratto dell' Assyrian Syllabary di H. Sayce (1875):

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Interessante notare il significato che Sayce assegna di 'memoriale', cioè un qualcosa che ha la funzione di 'ricordare' o 'celebrare' la fama di qualcuno o qualcosa, coerente con quanto Sitchin affermava: “Ciò per cui si é ricordati”.

[…]

Il successivo estratto esaminato da Lawton è tratto da un testo che Sitchin identifica con un Inno a Inanna. L’ estratto che Sitchin riporta:

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Signora del Cielo:

Ella indossa il suo Abito del Cielo

e arditamente sale verso il Cielo.

Al di sopra di tutte le terre abitate

ella vola nel suo MU.

La Signora, che nel suo MU

gioiosamente vola fino alle vette celesti.

Al di sopra di tutti i luoghi in pace

ella vola nel suo MU.

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Effettivamente è apparentemente introvabile, e Sitchin non riporta quale traduzione ha preso né chi sia l’ autore del trattato su questo testo, quindi come suppone Lawton, lo stesso Sitchin potrebbe aver cambiato dei termini per supportare la sua tesi. Non si può però non notare che in questo estratto (come nel caso dell' epica di Gilgamesh) non viene utilizzato il termine Shem ma il termine MU, un termine che i traduttori ortodossi non hanno mai tradotto chiaramente.

Possiamo farci una idea di cosa siano questi MU perchè esiste almeno un altro mito riguardante Inanna che ha un chiaro riferimento a veicoli volanti. E’ il mito di ‘Inanna ed Enki’, in cui Enki, ubriaco, dona a Inanna i 70 ME della civilizzazione.

E’ interessante notare che anche il termine ME non viene tradotto dai sumerologi, ma viene espresso come un qualcosa che ha il dono di istruire o dal quale si può imparare qualcosa (vedremo nel capitolo dedicato a Heiser in maniera più approfondita).

Il testo originale del mito, nel ‘segmento E’ riporta la gioia di Inanna nell’ aver ricevuto i Me:

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“He has given me righteousness.

He has given me the plundering of cities.

He has given me making lamentations. He has given me rejoicing.”

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Ma il testo realmente dice:

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“Lui (Enki) mi ha dato il ME della giustizia;

lui mi ha dato il ME

della fondazione delle città;

lui mi ha dato il ME delle lamentazioni;

lui mi ha dato il ME della gioia”

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Il testo originale sumero:

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[nam]-ning2-si-[sa2 ma-an-shum2]

iri lah5 [ma-an-shum2]

i-si-ish nga2-nga2 ma-<an-shum2>

shag4 hul2-la ma-<an-shum>

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Come si può vedere queste 4 frasi presentano una parte comune ‘ma.an.shum’ che è composta da MA e SHUM2 (diede), e una parte variante a seconda del ME concesso (es: SHAG HUL = cuore felice = gioia). I sumerologi ci dicono (per esempio Daniel Foxvog nel suo 'Sumerian Glossary') che MA-AN-SHUM é in realtà GISH-MA-AN-SHU-UM[U] e significa 'settaccio per il grano' indicando un simbolo di regalità(!!). Spiegazioni del genere non possono che far sorridere se si pensa che, secondo questa interpretazione (e bisogna notare che nel testo non é presente il determinativo GISH) gli scribi avrebbero scritto “Lui (enki) ha donato il 'settaccio per grano' della giustizia, della fondazione delle città, etc”.

Il termine MA non viene tradotto in questo segmento, ma lo ritroviamo più avanti con un altro significato stavolta nella sua forma omofona MA2 tradotto con ‘barca’, precisamente nel ‘segmento F’ quando si dice che:

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Inanna raccolse tutti I ME.

I ME furono sistemati nella Barca del Cielo.

La Barca del Cielo, con I sacri ME,

fu spinta oltre il molo.

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O in un’ altra versione, dove il termine ME viene sostituito da ‘poteri divini’:

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Ma la divina Inanna raccolse I poteri divini,

e si imbarcò nella Barca del Cielo.

La barca del Cielo aveva lasciato il molo.

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Il testo sumero di questo passaggio è:

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kug d.inana me mu-un-ur4-ur4 ma2 an-na bi2-in-u5

ma2 an-na kar-ra zag bi2-in-tag

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Nella versione in lingua originale compare il ME tradotto come ‘essenza’ (non meglio precisata e che non figura nella traduzione), e qui il termine MA2 viene tradotto come ‘barca’ (MA2 AN.NA = barca del cielo). La mia conclusione è che questo termine MA2 AN.NA, sia il corrispondente del MU a cui si fa riferimento quando si ha a che fare con oggetti volanti o resoconti di volo. Il termine ‘barca del cielo’ non può rappresentare una normale imbarcazione, per descrivere la quale si usava semplicemente MA2. Per esempio nell’ epopea di Gilgamesh si parla di ‘MA2 GUR4.GUR4’ per indicare una barca che può capovolgersi (GUR4).

Ci siamo allontanati molto dallo ‘shem’ ma ho ritenuto doveroso fare questa disquisizione perché Lawton inserisce quel passaggio non identificabile nella sua trattazione sugli shem nonostante il termine non compaia. D’ altro canto se come sostiene Sitchin il termine shem deriva da ‘shammu’ (vedremo che qui invece Sitchin ha probabilmente commesso un altro tipo di errore) e significa: ‘ciò che è un MU’, decifrare cosa possa essere il MU non è tempo perso.

[...]

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Sitchin’s pantheon

Il documento in questione, per la verità molto breve, affronta leggermente più in dettaglio il concetto che Lawton ha già espresso riguardo alla difficoltà o impossibilità di stabilire le giuste parentele o relazioni tra i vari dei del pantheon sumero. Pur avendone già discusso ritengo sia doveroso analizzare in profondità i concetti espressi in questo documento perché permettono di chiarire alcuni concetti basilari della teoria sitchiniana.

Lawton fa notare che nel suo primo libro Sitchin raramente nomina gli Igigi ed usa genericamente il termine Anunnaki, correggendo poi il tiro nel libro L’ altra Genesi. In effetti Sitchin nel suo primo libro nomina gli Igigi direttamente con questo appellativo solo sette volte, tutte contenute nel capitolo XI, ma questa come critica non ha gran senso, ogni libro introduce personaggi a seconda dell’ argomento che tratta… personalmente ritengo che essendo ‘Il pianeta degli dei’ il libro introduttivo non fosse necessario andare così nel dettaglio . Fa notare anche che secondo Sitchin i testi antichi riportano che ‘gli Anunnaki del cielo sono 300 […] gli Anunnaki della terra sono 600’ mentre la tavola VI dell’ epica della creazione afferma che gli Anunnaki erano 600 in tutto.

Inizialmente io stesso avevo segnalato, nella stesura di un articolo, questo caso come uno dei rari esempi di errori di Sitchin. In effetti da come le traduzioni del mito sono generalmente pubblicate, sembra che gli Anunnaki siano in tutto 600 e non 900... come possiamo notare da questo passaggio:

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Poi Marduk il re divise gli dei: una schiera sotto e una sopra,

trecento sopra come guardiani del cielo,

guardiani della legge di Anu; cinque volte sessanta sulla terra,

seicento dei tra cielo e terra.

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La mia idea originariamente era che a meno che Sitchin non si riferisca ad altri testi o ad altre versioni diverse da quelle generalmente pubblicate, bisognasse dare ragione a Lawton nel segnalare questo errore.

Solo successivamente, analizzando non le traduzioni ma i testi originali dall' accadico, mi capitò di trovare il commentario di due tavolette: la KAR 307 37 e la SBH 139. In questi testi si parla chiaramente di 600 'Anunnaki della terra' e di 600 'Anunnaki del mondo inferiore', distinguendoli dagli 'Anunnaki del cielo'.

La situazione é riassunta nell' immagine seguente in cui vengono riportati i passaggi originali dei testi.

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Dobbiamo tenere a mente il termine ‘watchers of heaven’ (guardiani/osservatori del cielo) perché questo corrisponde esattamente agli Igigi. Il termine Igigi infatti deriva dalla radice IGI = guardare, osservare.

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