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Sul dissesto idrogeologico

 

 

Il tema del dissesto idrogeologico, come abbiamo avuto modo di scrivere in passato, é tornato alla ribalta negli ultimi anni a causa delle inondazioni e conseguenti frane  che in tutta Italia hanno causato centinaia di morti. Da sardo mi ha toccato in particolare l' alluvione della mia terra, una alluvione considerata da molti, erroneamente, senza precedenti. Se é vero che mai a mia memoria la Sardegna aveva sofferto tutti quei danni in termini di devastazione territoriale, frane, e numero di morti, non é però vero che quella pioggia era senza precedenti. Articoli che parlavano di 'diluvio senza precedenti' erano comparsi anche l' estate prima e 3 estati prima; semplicemente questi eventi avevano causato meno danni.

L' allora ministro dell' ambiente Orlando fu molto attivo, almeno a parole e stanziamenti, sul tema del dissesto idrogeologico, e a lui va certamente il merito di aver saputo dare al tema l' importanza che meritava e che per troppo tempo era stata negata.

Quest' importanza, però, sulla scia della superficialità popolare ed istituzionale, é stata concentrata a mio avviso sui punti sbagliati. Da buoni testardi, molti dei miei conterranei hanno approfittato della tragedia, in buona o malafede, per fare campagna elettorale e denigratoria contro 'abusivismo edilizio, abusivismo costiero, i condoni di quello là' arrivando in alcuni casi a dare la colpa di quel che successe alla cancellazione (in realtà si trattava di una modifica) del limite alla costruzione sulle coste. Tutto, ovviamente, senza nemmeno considerare che i maggiori danni quella vicenda non li aveva fatti sulle coste ma nelle città e nei paesetti, specialmente quelli a valle di alture e in conche.

Si perchè il male di tanti paesi e tante città italiane, e in particolar modo sarde, é di essere  sorti e di essersi sviluppati nei secoli a valle di colline e montagne o nei peggiori casi in terreno pianeggiante ma in posizione di conca rispetto al territorio circostante. In queste situazioni, la pioggia che cade nei dintorni va immancabilmente a riempire strade e condotte fognarie tipiamente sottodimensionate. 

 

E' di questi giorni l' esortazione del ministro Galletti a un 'cambio collettivo di cultura' nei confronti del dissesto idrogeologico. Questo cambio culturale secondo Galletti deve investire sia gli enti locali, che  "nei limiti del patto di stabilità devono fare scelte politiche e stanziare più risorse per la cura del territorio e per interventi di prevenzione", sia i cittadini, i quali devono "smettere di chiedere di costruire in zone dove non si può. Quindi stop all' abusivismo"

Fosse facile.

Intanto ribadiamo ancora una volta il concetto: le nuove costruzioni, abusive e non, non sono soggette alle problematiche in questione quanto i vecchi paesi costuiti decenni e secoli fa, i quali sono nati come piccoli centri costruiti a misura di pochi abitanti, con strade strette, scoli e percorsi di captazione limitati, e in generale dimensionati per una popolazione di gran lunga inferiore a quella attuale.  C' é poi da dire che l' industrializzazione nel corso dei decenni ha prodotto nuove problematiche: le strade sono piene di automobili che, parcheggiate per strada, spesso impediscono il corretto defluire delle piogge; i canali di scolo spesso intasati e raramente manutenzionati; i tombini e le canale nell' alzata dei marciapiedi spesso insufficienti ed ostruiti; l' aumento delle utenze e degli scarichi...

Con tutti questi fattori, il nuovo albergo sulla costa o il nuovo centro commerciale in periferia ben poco incidono sul potenziale di danno arreccabile in caso di piogge copiose.

 

Cosa incide allora in  maniera maggiore?

Innanzitutto, come detto, il fatto che le città costruite con strade strette e impianti fognari di dimensioni ridotte nel frattempo si sono popolate in eccesso senza un adeguamento degli spazi; in secondo luogo, ed é questo a mio avviso il fattore sul quale agire immediatamente, l' utilizzo di tecniche e materiali da costruzione 'usa e getta'

L' ottica dell utilizzo di materiali poco durevoli e poco resistenti nell' edilizia si é diffusa a partire dagli anni '80, conseguentemente ad un piano di terziarizzazione dei servizi e ad un' ottica di 'servizio a chiamata' pagato 'ad intervento'. In sostanza mentre prima i comuni avevano quasi tutti del personale dedicato alla manutenzione, nel tempo questi servizi sono stati appaltati ad aziende terze con contratti al ribasso che prevedevano uno stanziamento per la realizzazione dell' opera e stanziamenti di manutenzione 'al bisogno'. Per garantirsi continui introiti, dunque, queste aziende appaltatrici hanno iniziato ad utilizzare materiali meno resistenti che abbisognassero di più frequenti interventi di riparazione. L' esempio tipico di questo cambiamento di metodica sono le pavimentazioni stradali, ma anche opere murarie, cortili e corti di palazzi, tubature ed impianti hanno risentito di questa nuova ottica ormai diventata nel corso degli anni la normalità. Anche i ponti e le sopraelevate son stati realizzati secondo quest' ottica, e difatti durante le piogge intense che hanno causato enormi danni, i primi a cedere erano i ponti realizzati negli ultimi 30 anni. 

Una menzione particolare merita il grave danno che questa ottica ha causato nell' edilizia abitativa; i palazzi degli ultimi 30 anni sono realizzati sempre più spesso con materiali scadenti, con una struttura 'a cipolla' (cioè in cui più strati fini con camere d' aria anzi che un unico strato più spesso e compatto), e con impianti inadeguati per dimensionamento e vita media. Questo ha fatto sì che durante le piogge torrenziali intere costruzioni si siano 'aperte' dalla base, compromettendo irreparabilmente la struttura. 

 

Allora forse sarebbe il caso che il cambiamento collettivo di coscienza auspicato dal ministro Galletti non vada ricercato tra la popolazione e tra gli enti locali, ma tra i costruttori e tra i comuni; forse é necessario non combattere un abusivismo sempre più limitato, ma combattere la mala pratica progettuale e costruttiva; forse é bene tornare ad utilizzare materiali di una certa qualità.

 

Forse é ora di ri-imparare a costruire le nostre città.

 

 

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