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Sulle bonifiche...   

di Gavina Muzzetto

E’ come se fosse un post-it dove si appuntano delle cose da ricordare e come spesso accade te li ritrovi in giro o attaccati ai fogli sparsi, nei libri o dentro i faldoni. Ma sono utili per ricordare certe cose alle quali con il tempo non badi più. Questa nota è così.

 

Avrei dovuto appuntarmele le date degli ultimi articoli che sono stati pubblicati, con inspiegabile ma logica frequenza, nelle ultime settimane sui vari quotidiani cartacei o “ollain” e che avevano come tema le bonifiche.

Si, quelle. Quelle che un po’ tutti i candidati delle primarie hanno trattato e che senza troppa enfasi Deriu ha liquidato con un semplice "Si, sono d’accordo, vanno fatte. Cos’altro volete che dica"?. E posso dire di esser d’accordo con lui.

Invece ogni volta che si scrive su questo tema non riesco a capire quale sia il messaggio che si vuole dare.

 

Non capisco se il fine sia quello (giusto) di chiedere e pretendere la restituzione di porzioni di territorio che attualmente sono avvelenate da sostanze che per anni si sono indiscriminatamente riversate sul suolo e poi nelle falde dopo le opportune bonifiche, o se il tutto si limita ad una nuova opportunità di lavoro che deve essere svolto necessariamente da “maestranze locali” che verranno impiegate per i prossimi 30/40 anni.

Una situazione insostenibile e ingannevole, che restituisce subito il tratto distintivo nazionale e regionale: sottrarsi in modo più o meno consapevole al principio di responsabilità, affidandosi ad un fato amico che ha, praticamente sempre, guardato al nostro territorio come chi resta in attesa delle scelte di una politica volubile e prona ai voleri degli inquinatori che hanno nome e cognome.

 

Le contaminazioni alle quali la nostra terra è stata soggetta và dall’industria petrolifera e petrolchimica, alla metallurgia pesante per finire in quella bellica.

Qualche giorno fa si riferiva di nuove opportunità per i lavoratori del settore delle costruzioni dai lavori per le bonifiche ambientali a seguito di un incontro delle tre maggiori sigle sindacali con i rappresentanti di un raggruppamento di imprese capeggiato da una delle più grandi a affermate aziende italiane che operano nel campo delle bonifiche ambientali. Ovviamente non è dato sapere, visto che l’articolo non lo riporta, quale sia questa società e in quale campo delle bonifiche questa operi. Non sia mai che chi segue questi temi si prenda la briga di andare a documentarsi sulle credenziali di chi sta iniziando ad allungare le mani sul nuovo business all’orizzonte. E poi. Ma davvero si sta barattando un sacrosanto diritto delle popolazioni locali con posti di lavoro creati ad hoc dopo aver sostenuto un “corso di formazione professionale per istruire i lavoratori in maniera che possano essere partecipi dei progetti”?.

 

Per questo è intellettualmente imbarazzante sentire alcuni che, con colpevole superficialità e malcelato intento elettorale si accodano alla scia della nuova campagna di stampa alla quale sto assistendo. Non sono stata l’unica a sorprendersi dell’articolo.

 

Mi ero fatta ingenuamente persuasa che se mai le bonifiche fossero un business, queste avrebbero dovuto coinvolgere “maestranze” come geologi, chimici e ingegneri specializzati in vari campi, agronomi, biologi o naturalisti, periti o geometri e che, magari, ciò avrebbe potuto essere un volano per sviluppare la ricerca nella nostra isola e non il comparto edile (non me ne vogliate, ma così è). Le nostre università o centri di ricerca, forse, sarebbero ben felici di espandere questi temi e di interfacciarsi con altre realtà che operano in questo campo.

Mi spaventa che si parli di impiego nel lungo termine. 30/40 anni si dice. Sulla base di cosa non è dato saperlo.

Se un terreno richiede una bonifica lunga quel tempo, siamo sicuri che quel terreno non sia "definitivamente morto"? E se una bonifica si risolvesse in 10 anni, che si fa? Si allunga il brodo per garantire posti di lavoro già venduti nelle prossime campagne lettorali per i prossimi anni?

In questo tortuoso cammino occorre un cambiamento di paradigma.

Si attacca puntualmente la burocrazia che regola questo tema e allo stesso modo ogni qualvolta si è provato a semplificarla, la levata di scudi è stata immediata. Si addossano responsabilità a Roma, come se gli enti regionali o locali non c’entrassero niente nell’analisi di questo tema. Si assiste  inermi ad un susseguirsi di notizie dove puntualmente si rimarca che le bonifiche non sono riuscite o che le messe in sicurezza sono inutili. Se così fosse, viene quindi da chiedersi perché gli enti non fanno una chiara denuncia verso chi in questo momento si è fatto carico di procedere con queste (inutili) operazioni.

In una Sardegna dove da sempre accade di tutto ma niente cambia, il fantasma delle bonifiche (ri)entra in scena quasi ciclicamente ricordando accordi di programma relativi a finanziamenti pari a 6 miliardi sottoscritti dagli enti locali e dalla regione. Tuttavia, il suo apparire e scomparire, il suo tornare uguale ma diverso, sottolineano la violenza del suo agire che quasi come un torrente carsico percorre il territorio, pronto a riemergere inaspettatamente, cambiandone la geografia. Un’epica negativa dove i lunghi periodi intercorsi tra una conferenza di servizi e l’altra, non sono mai serviti per risolvere i problemi come, invece, avrebbero dovuto.

 

E i problemi restano tutti. Che fare?

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