Estratto da De Homine #3
- Alessandro Demontis
- 25 lug 2019
- Tempo di lettura: 4 min
[...] Un altro caso in cui gli scienziati hanno dovuto rivedere le proprie teorie, anche se probabilmente il discorso non è ancora chiuso, risale al 2017 (“Homo sapiens: una scoperta ne rivoluziona la storia”, Scienze Notizie, Giugno 2017), quando si venne a sapere che alcuni ritrovamenti fatti in Marocco sembravano suggerire una retrodatazione della prima comparsa di Homo Sapiens a ben 300.000 anni fa; si trattava di frammenti appartenenti a cinque individui diversi, e mostravano i segni di una prima fase evolutiva dell' Homo Sapiens con un viso e dei denti che ricordano molto l' uomo moderno, mentre la scatola cranica mostrava ancora caratteristiche arcaiche. A detta di molti studiosi, la scoperta fu di importanza notevole perchè sembrava mettere in crisi la credenza secondo cui tutti gli esseri umani attuali discendono da un' unica popolazione vissuta nell' Africa orientale circa 200.000 anni fa: i nuovi dati mostravano, secondo i vari autori ed articolisti, come l' Homo Sapiens fosse diffuso nell' intera Africa già 300.000 anni fa. Stavano davvero così le cose? In realtà dovremmo andarci piano, almeno questa volta, per almeno due motivi. Intanto, la presunta datazione di 200.000 anni fa che verrebbe sconvolta non è una stima moderna, poiché attualmente sappiamo che Homo Sapiens si è generato tra i 250.000 ed i 220.000 anni fa. La datazione di circa 200.000 anni fa è una nozione ormai antiquata relativa a quando ancora non si conosceva l' importanza delle scoperte su Homo Rhodesiensis. Secondariamente, andando a verificare lo studio originale pubblicato dal Max Planck Institute (“The first of our kind“, 7 Giugno 2017), si scoprono cose interessanti. L' articolo scrive testualmente: "I reperti sono datati a circa 300.000 anni fa e rappresentano la più antica testimonianza fossile datata in modo sicuro della nostra specie”; non ci sarebbe dunque dubbio sul fatto che i ritrovamenti siano datati a 300.000 anni fa, anche secondo il M.P. Institute. Ma andando avanti nella lettura ci si imbatte nel solito tipico errore di interpretazione dei dati, un grave errore al quale il M.P. Institute non sembra immune. Nell' articolo leggiamo che: "Per fornire una cronologia precisa di questi reperti, i ricercatori hanno utilizzato il metodo di datazione della termoluminescenza sulle pietrine riscaldate trovate negli stessi depositi. Queste selci hanno prodotto un' età di circa 300.000 anni e, quindi, retrodatano le origini della nostra specie di circa 100.000 anni". Ed ecco cosa successe: per datare i resti, si usò il metodo della termoluminescenza, un metodo di datazione della pietra, su alcuni 'flints' ritrovati nello stesso luogo. Col termine 'Flint' (in italiano "Selce") si intendono dei depositi cristallini di silice che nel tempo vengono compressi e compattati. L' età di 300.000 anni, dunque, non è del teschio, ma delle pietre silicee tra le quali questo teschio usato come campione è stato rinvenuto. Per permettere al lettore di capire concettualmente l' errore, spieghiamo che è come se noi ora morissimo nel mezzo dl Colosseo, e, tra 3000 anni, uno scienziato facesse l' analisi alla termoluminescenza alle pietre del Colosseo; egli scoprirebbe che quelle pietre avrebbero una età di 5000 anni (rispetto a lui, mentre sarebbero 2000 anni rispetto a noi), ed assegnerebbe anche ai nostri resti quell' età. C' è di più: gli studiosi trovarono un pezzo di mascella con dei denti, e li datarono alla Risonanza Magnetica di Spin, ottenendo una datazione di circa 285.000 anni fa, con tolleranza di circa 32.000 anni. Si noti che, usando il limite inferiore di tolleranza, e cioè 250.000 anni fa, si sarebbe ottenuta una datazione molto simile a quella stabilita geneticamente per la Eva Mitocondria (fino a 234.000 anni fa) e totalmente coerente con le attuali nozioni del passaggio da Rhodesiensis a Sapiens (250.000 – 220.000 anni fa); gli studiosi (o forse i media) invece hanno preferito usare il limite superiore di tolleranza – circa 310.000 anni fa – forse per sensazionalismo. Rimaneva un problema: come si faceva a sapere se questi reperti appartenessero ad una specie simile a quella attuale? Corsero in aiuto degli studiosi alcuni specialisti di computer grafica, i quali, guidati da antropologi, ricostruirono quella che doveva essere la struttura interna della bocca. Dalla ricostruzione ci si accorse che questa era “molto simile” a quella di scheletri anatomicamente accertati come Homo Sapiens. Molto simile. C' era un modo per dipanare la matassa? Certo, ci sarebbe stato, e sarebbe stato condurre un' analisi genetica. Fu fatto? No, perchè si reputò che l' esame sarebbe potuto essere fuorviante, in quanto non si era sicuri dello stato di conservazione dei reperti. Insomma si mise da parte un metodo di analisi scientifico, basato sui geni, e si preferì tenere conto della somiglianza di un modello ricreato al computer. In realtà, dunque, non sappiamo niente di preciso dell' età del teschio marocchino, e niente permette di asserire che questo ritrovamento sconvolga la datazione attuale. Eppure, segnaliamo con rammarico, molti studiosi hanno effettivamente accettato una datazione di circa 100.000 anni più antica per l' insorgenza di Homo Sapiens, un dato che viene smentito in modo particolare dalla genetica delle popolazioni. [....]

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